Vulnerabilità
Testo critico
Menzione al premio “Le Logge”
XIII edizione del Toscana Foto Festival – Massa Marittima 2005
Selezionato al “X Premio Massenzio Arte” – Roma 2006
Selezionato al “III Premio Celeste” – Firenze 2006
FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma 2007
I volti, le posizioni del corpo, l’ambientazione, ogni dettaglio della serie di fotografie realizzate da Samuele Bianchi induce a riflettere sulla condizione esistenziale di chi si pone, privo di difese, in relazione con il mondo esterno. Vulnerabilità. La si legge nello sguardo di chi ha accettato la sfida: sdraiarsi in terra, al margine della strada, in prossimità delle strisce bianche. La si intuisce nei gesti di inquietudine fermati per un attimo nello scatto fotografico, la si coglie nell’abbraccio di una madre e di una figlia, negli occhi socchiusi di chi sembra essersi lasciato andare, nelle mani sul ventre di una giovane donna che a stento trattiene le proprie emozioni, nei gesti estremi, quasi al limite dell’isteria, di chi violentemente esprime il proprio disagio, nella rassegnata e stanca mole di un corpo avanti con gli anni che si abbandona ad un sonno denso di presagi. Il ciglio di una strada e il percorso suggerito dalle linee interrotte in verticale dai corpi, divengono in questa serie di scatti metafora di un percorso, della vita stessa. L’asfalto, scuro, crettato o compatto, è il paesaggio ostile in cui gli attori accettano di interagire da un nuovo punto di vista. Sdraiati sul terreno ruvido e sporco, sono costretti per un attimo a fermarsi e a riflettere. Quello stesso terreno che calpestiamo più volte al giorno, ogni giorno si trasforma in un insolito giaciglio. La tensione della ricerca di Samuele Bianchi consiste proprio nella possibilità di vagliare emozioni, sensazioni e reazioni di persone comuni, in cui è possibile riconoscersi, riuscendo contestualmente a superare la dimensione intima del ritratto per riportare l’attenzione su temi d’interesse collettivo.
Così coloro che sono stati coinvolti in questo progetto, bambini, giovani, adulti ed anziani sembrano essere emblema della modalità che ciascuno di noi ha di affrontare il mondo esterno con i suoi pericoli. L’inquadratura ravvicinata ed il rigore formale della composizione, unitamente alla scelta del bianco e nero congelano l’istante in immagini che lasciano solo intuire le pur presenti incursioni dal reale. Dettagli, colori, altre presenze, sono lì, oltre la fotografia, con il loro rumore di fondo, idealmente pronti ad interagire con la storia. I protagonisti invece sono soli, nel silenzio, eppure non lo sono realmente. Il confine dell’immagine, infatti, sembra avere uno scopo puramente funzionale ad isolare il soggetto e delimita quel margine oltre il quale la solitudine si rivela condizione necessaria per sperimentare se stessi. Tuttavia, appare evidente che questa temporanea disposizione interiore senza un contatto profondo potrebbe trasformarsi in una condizione permanente, indotta o perseguita tenacemente da chi non sa più o non ha mai saputo entrare in relazione con ciò che lo circonda. Allora smarrimento, resa e sgomento, si colgono in questo racconto le cui valenze procedono parallelamente, prestandosi ad una duplice interpretazione: l’una strettamente personale, intima si potrebbe dire, l’altra in relazione al proprio essere nel mondo, alla dimensione sociale, alle difficoltà dell’individuo di essere una parte del tutto pur rimanendo tale.
Elena Paloscia
FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma 2007