Vorrei essere altro, vorrei essere me.

Testo critico

Muoversi nello spazio che ci circonda, osservarlo, riuscire ad instaurare un dialogo con esso e, attraverso le immagini, esprimere qualcosa che vada oltre gli attori dialoganti non è sempre immediato e scontato. Non è tanto importante ciò che si vede in questo lavoro, ma piuttosto le sensazioni che evoca. Il rapporto tra le immagini e lo spazio descritto non è di semplice rappresentazione: in esse confluiscono sapientemente segni reali, specchio di un’esperienza personale che diventa esperienza di tutti. Non solo una serie di fotografie, ma piuttosto una raccolta di pensieri che non sempre seguono la logica, ma sono accomunati da una riflessione profonda. Queste immagini non parlano di un uomo ma parlano dell’Uomo, della sua necessità di creare recinti, di contenere, di costringere. È un fatto istintuale, non può fare altrimenti: l’uomo limita il territorio, limita gli altri uomini, limita se stesso. Pone delimitazioni fisiche, muri, barriere, con l’illusione di riuscire a contenere una natura altra, sconosciuta, che fa paura. E impone delimitazioni etiche, tanto più invalicabili che, come ombre pesanti, insistono sui bivi che la vita riserva. Immagini taglienti che alludono alla nostra condizione umana, fisicamente fragile, che ha necessità di costruire ripari, di organizzare continuamente lo spazio vitale fino a spingersi, talvolta, all’appropriazione culturale di chi non conosce, di chi è diverso. Abbiamo bisogno di questo per sentirci protetti, ma la sensazione che si percepisce non è rassicurante, né confortante, semmai diventa opprimente, con la conseguenza inevitabile di dover poi superare gli stessi limiti asfissianti con cui imprigioniamo e da cui ci lasciamo imprigionare. Fughe, esodi, partenze fisiche o mentali per riappropriarci del nostro spazio, della nostra vita, di noi stessi.

Simona Lunatici

Storica dell’arte

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